focus_2Monografia

NOrdic 2024

Pochi mesi per capire che candidarsi sarebbe stata una sciocchezza. Così Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia dissero no a Euro 2024

Con 12 voti contro 4, e un’astensione, il 27 settembre 2018 la Germania batté la Turchia e si vide assegnare dal comitato esecutivo dell’UEFA a Nyon l’Europeo 2024, ovvero quello che inizierà tra meno di dieci mesi, il prossimo 14 giugno. Berlino, Monaco, Dortmund, Gelsenkirchen, Stoccarda, Amburgo, Dusseldorf, Colonia, Lipsia, Francoforte: 10 città per altrettanti stadi il più piccolo dei quali, quello di Francoforte, da oltre 48 mila posti a sedere e coperti. Stadi tutti già pronti (molti avevano anche già ospitato gare del Mondiale 2006) e, solo in parte, necessitanti di qualche ammodernamento, peraltro non a livello di struttura. Al voto erano arrivate appunto solo Germania e Turchia, e l’esito era scontato, data la potenza della candidatura tedesca e delle sue strutture. Qui, però, ci occupiamo della candidatura che non c’è stata.

Era il 4 marzo 2016 quando la DBU, la federazione calcistica danese, annunciò l’intenzione di proporre una candidatura congiunta assieme ad altri tre Paesi scandinavi, Finlandia, Norvegia e Svezia. L’allora presidente della federazione danese, Jesper Moeller, aveva parlato con gli omologhi finlandese, svedese e norvegese aprendo alla possibilità e chiedendo anche alle federazioni islandese e faroese la disponibilità a ospitare eventi collegati – non partite, non essendoci sulle isole stadi adeguati – per predisporre una suggestiva candidatura panscandinava. Ora, la Danimarca, con Copenaghen, ha ottenuto una città sede a Euro 2020, mentre la Svezia, oltre ad avere ospitato un Mondiale una vita fa (era il 1958), aveva ottenuto anche Euro 1992, quello poi vinto proprio dalla Danimarca, ma si trattava di un altro mondo, un altro calcio, un altro Europeo: bastarono allora quattro stadi – Stoccolma (Solna), Göteborg, Malmö e Norrköping – e del resto le nazionali partecipanti alla fase finale erano …

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.