Monografia

Multiproprietà, l’unione che sbilancia le forze

Sotto la lente un fenomeno in espansione e destinato ad ampliarsi: un’analisi su modelli, paradigmi e rischi competitivi

Coppa delle Coppe 1997-98, quarti di finale. Otto palline nei bussolotti del sorteggio, otto squadre di otto diverse nazioni: Aek Atene, Betis Siviglia, Chelsea, Lokomotiv Mosca, Roda Kerkrade, Slavia Praga, Stoccarda, Vicenza. In linea teorica, tutto normale, non fosse per un aspetto che, allora, la Uefa sottovalutò: tre degli otto club in questione erano controllati da un solo investitore. English National Investment Group, ovvero Enic, aveva rilevato nell’estate del 1997 il 99,9% delle quote del Vicenza, possedeva il 96,7% dello Slavia e il 47% dell’Aek, di cui era il maggiore azionista. In sostanza, il sorteggio avrebbe potuto mettere di fronte club controllati da un unico soggetto. Fu allora che l’Uefa si accorse delle multiproprietà.

L’urna fu benevola per Nyon, perché gli abbinamenti scongiurarono il confronto fra le squadre controllate da Enic e, considerando che solo il Vicenza passò il turno mentre Slavia e Aek furono eliminate, l’imbarazzo non si protrasse oltre. Tuttavia il 19 maggio 1998, a competizione terminata, la Uefa emanò la Integrity Rule (ufficialmente Integrity of the Uefa Club Competitions: Independence of the Clubs) che impediva ai club sotto controllo comune di giocare nella stessa competizione, a partire dalla stagione seguente, la 1998-99. La regola si sarebbe applicata ai club in cui una società o una persona fisica possedessero la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o avessero il diritto a nominare o revocare la maggioranza dei membri degli organi di direzione e di controllo. Enic proseguì comunque nei suoi investimenti nel calcio e, se già allora possedeva quote nei Rangers Glasgow, in seguito sarebbe entrata anche nel capitale del Basilea e in quello del Tottenham Hotspur. Proprio il Tottenham, di cui è azioni…

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.