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Cittadinanza, chi ne parla più?

Dopo la legge del 2016 sullo ius soli sportivo non si è andati oltre le chiacchiere: per tanti minori la cittadinanza italiana resta un miraggio. E la legge vigente (la 91/92) è già vecchia di trent'anni

Le luci si sono spente, l’argomento è tornato ai margini. Ma ora, occupandoci in questa monografia di sport trafficking, abbiamo deciso di tornare al tema della cittadinanza, sulle leggi che qui in Italia regolano la disciplina e sulle conseguenze che hanno con lo sport. Chi ricorda, lo scorso agosto, le dichiarazioni del presidente del CONI Giovanni Malagò? Era appena terminata l’Olimpiade, uno degli appuntamenti che portano ciclicamente alla ribalta – “ciclicamente” per avarizia cognitiva, perché il tema dovrebbe essere sempre di attualità – un argomento che incide pesantemente su ragazzi che vivono quotidianamente fianco a fianco a scuola, sui campi, in altri aspetti della socialità, ma senza gli stessi diritti. Ecco, Malagò: pretestuosamente, sull’onda dei Giochi e di una spedizione entusiasmante entrata nell’immaginario collettivo, il numero 1 di Palazzo H così si era espresso:

Non riconoscere lo ius soli sportivo è qualcosa di aberrante, folle. Oggi va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha quei requisiti deve avere la cittadinanza italiana. È vero che a 18 anni puoi fare quello che vuoi, ma se aspetti il momento per fare la pratica hai perso una persona. A volte ci sono tre anni di gestazione e nel frattempo, se l’atleta non ha potuto vestire la maglia azzurra, o smette, o va nel suo Paese di origine, o ancora peggio arriva qualche altro Paese che studia la pratica e in un minuto gli dà cittadinanza e soldi.

Ora, posto che una legge sullo ius soli sportivo l’Italia, dopo anni di discriminazioni sostanziali, ce l’ha dal 2016, ciò che stupiva nel ragionamento di Malagò era il pragmatismo all’uopo delle esigenze delle nazionali (e, di conseguenza, delle medaglie), l’intenzione esplicita di non volere modificare la legge di cittadinanza attuale – che per…

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.