Tackle

I furbetti del sottotitolo

Storie ripescate dal passato e anche assai ben documentate, hanno però un grande difetto, solo in apparenza secondario: il sottotitolo. Capita sempre più spesso

di Nicola Sbetti

Perché rovinare un buon libro con un titolo che ne stravolge il contenuto? La domanda è per molti versi retorica, visto che nell’epoca della post-verità un titolo distorto ma capace di suscitare emozioni venderà comunque molto di più di uno che effettivamente chiarisce a cosa effettivamente il lettore andrà incontro. Purtroppo, però, ultimamente mi è capitato di chiedermelo un po’ troppo spesso. In questi giorni, per esempio, succede ogniqualvolta prendo in mano l’ultimo libro di Massimo Calandri sulla trasferta della nazionale italiana di rugby maschile, che nel 1973 andò nel Sudafrica dell’apartheid (con una tappa nell’altrettanto razzista Rodesia) per una tournée che se da un lato fece molto discutere per il suo significato politico, dall’altra contribuì alla crescita del rugby italiano.

Si tratta di una storia da molti dimenticata che meritava di essere raccontata. Calandri lo fa in maniera avvincente, romanzata ma assai ben documentata. La ricerca fatta con l’ausilio di fonti orali, giornalistiche ma anche di documenti ufficiali riportati nel testo sembra essere seria e rigorosa e restituisce bene, senza troppi moralismi o giudizi di valore, il modo di pensare dell’epoca. Forse, per essere pignoli, si sarebbe potuto dare maggiormente voce a quegli azzurri che scelsero di boicottare la tournée, così come essere meno indulgenti nei confronti dei vertici della Federugby di allora. Non c’è dubbio però che nel complesso Non puoi fidarti di gente così merita di essere letto e, personalmente, mi sento di consigliarlo anche ai non appassionati della palla ovale. Il libro però ha un grave difetto, solo in apparenza secondario: il sottotitolo.

Perché sottotitolarlo Storia della squadra di rugby che sfidò l’Apartheid? Non ha alcun sens…