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L’acqua sporca del greenwashing

La questione climatica è l'elefante nella stanza che il mondo dello sport tende a ignorare. Ma spaccia per ecologici eventi che non lo sono affatto

di Nicola Sbetti

Domenica 3 luglio, in occasione del Gran Premio di Formula 1 a Silverstone, nel Regno Unito, un gruppo di persone ha cercato senza successo di fare irruzione per interrompere la partenza della gara. Un mese prima, durante il Roland Garros, il torneo di tennis di Parigi in terra battuta che fa parte del Grande Slam, la semifinale maschile fra il norvegese Casper Ruud e il croato Marin Čilić, era stata interrotta da un’invasione di campo da parte di un ragazza che si era legata alla rete. Martedì 12 luglio invece è stata la volta del Tour De France. In un tratto di pianura, mentre era in corso il tentativo di evasione dal gruppetto in fuga dal parte del ciclista toscano dell’EF Education-EasyPost, Alberto Bettiol, una decina di attivisti si sono seduti in mezzo alla strada riuscendo ad interrompere la corsa per diversi minuti.

Il legame fra questi gesti di protesta sta nella motivazione ecologica. In tutte e tre le occasioni, infatti, gli attivisti con queste azioni di disturbo e con slogan allarmistici miravano a sensibilizzare i dirigenti, gli sportivi ma soprattutto gli spettatori sulla crisi climatica che stiamo vivendo.

Senza voler ricostruire le motivazioni dei manifestanti né analizzare l’eventuale efficacia di questo tipo di protesta, va comunque segnalato che la scelta delle regie televisive è sempre quella di staccare l’inquadratura dal luogo dell’invasione per ridurre al minimo gli spazi di visibilità e disincentivare tentativi di emulazione. Inoltre da un rapido carotaggio sui social e sui video disponibili, si evince come lo spettatore medio, che ha investito denaro o quantomeno del tempo per assistere all’evento, tenda ad infastidirsi per l’interruzione causata e a non solidarizzare con i manifestanti.

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