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Il modello NCAA e i prospetti classe 1998

Come funziona il sistema sportivo universitario della pallacanestro statunitense. Lì dove il ricambio generazionale avviene in modo naturale quanto competitivo

di Roberto Gennari

Mentre in Italia ci si arrovella e ci si arrabatta in un dibattito infinito – e altrettanto sterile – su come favorire il ricambio generazionale a tutti i livelli, da quello politico (a 34 anni da noi sei un «giovane assessore», in altri Paesi sei già primo ministro) a quello lavorativo, a quello sportivo (un mio amico allenatore mi ha confidato, poco tempo fa, di avere i brividi quando legge in certi articoli espressioni del tipo «il prospetto classe 1998»), da altre parti c’è chi si è organizzato per fare in modo che il ricambio generazionale avvenisse, meglio se gradualmente e senza traumi, per poter portare a una continuità di lavoro e risultati. Rimanendo al di qua dell’Oceano Atlantico, non sarà sfuggito a nessuno che la Spagna di coach Sergio Scariolo (e giù di frasi fatte, «c’è un pezzo d’Italia nella vittoria della Spagna agli Europei») è tra le prime quattro del Vecchio Continente ormai da 11 (undici!) edizioni consecutive dell’Eurobasket, con quattro allori continentali in bacheca, a cui si aggiungono tre medaglie olimpiche e due titoli mondiali, più un numero imprecisato di medaglie nelle rassegne giovanili. Ma è negli USA, da sempre fucina di talenti della palla a spicchi, che il concetto di ricambio generazionale graduale ha – aveva? Poi ci arriviamo – trovato la sua espressione più strutturata, nei campionati universitari della NCAA.

La NCAA è un microcosmo che da noi è conosciuto quasi solo dagli appassionatissimi e dagli addetti ai lavori, ma che negli States si autoalimenta economicamente con il doppio scopo di far esprimere giovani talenti, dando loro visibilità a livello nazionale se si è in Division I (ovvero dove gli atleti hanno borse di studio garantite), e di generare utili per le università. Questo avviene sia nel basket che nel football americano, e non a caso questi due vengono chiamati dagli addetti ai lavori revenue sports; ma ci sono tornei di prima divisione (con numeri variabili di partecipanti e tutta una serie di criteri di ammissione) anche per baseball, calcio, hockey su ghiaccio, pallavolo, water polo, lacrosse, atletica, nuoto, tennis, golf e addirittura per il wrestling. 

Rimaniamo sul basket, che è quello che attiene a questa rubrica: la Division I è strutturata in 32 conference – che potremmo chiamare un po’ impropriamente «gironi» in italiano – per un totale di 358 squadre, ognuna in ra…