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Non più “russi” ma “neutrali”

Il perdurare della guerra imbarazza le istituzioni sportive internazionali: sottotraccia sono iniziate le manovre per riammettere gli atleti di Mosca

di Nicola Sbetti

Il primo articolo di questa rubrica, pubblicato lo scorso 23 marzo a un mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, era titolato La neutralità impossibile e si concentrava anche sul tanto fondamentale quanto ipocrita equilibrismo delle istituzioni sportive internazionali di fronte a una guerra. Esse sono infatti consapevoli del fatto che sanzionare o non sanzionare il Paese aggressore sia una decisione politica. Tuttavia nell’eventualità in cui sia necessario farlo, adottano formule giuridiche tali da presentare, almeno formalmente, questa scelta come politicamente neutrale, consentendo al movimento sportivo di limitare le divisioni e di mantenere il più possibile la propria universalità.

Le sanzioni allo sport russo e in misura minore a quello bielorusso, erano arrivate nei giorni successivi all’invasione non tanto perché i vertici del CIO e delle Federazioni sportive internazionali fossero animate da particolari intenti punitivi verso Mosca, quanto piuttosto perché molte federazioni e comitati olimpici nazionali filo-ucraini avevano minacciato di boicottare in massa gli eventi sportivi internazionali a cui i russi avrebbero preso parte. Il caso più eclatante in questo senso è stato quello dei Giochi paralimpici. L’IPC aveva inizialmente consentito agli atleti paralimpici russi e bielorussi (già arrivati a Pechino al pari di quelli ucraini) di gareggiare, salvo poi nel giro di 24 ore fare una clamorosa retromarcia di fronte alla minaccia di boicottaggio dei giochi promossa dai comitati paralimpici ucraino e di molti paesi europei vicini a Kiev.

Come più volte sottolineato, quindi, la priorità dei vertici del CIO e delle federazioni sportive era quella di preservare il sistema sporti…