di Nicola Calzaretta
Il 21 aprile 2025 è salito in cielo Papa Francesco. Un appassionato di vita e di sport, con la sua predilezione per il calcio e per il San Lorenzo de Almagro. Tifoso dichiarato, con tanto di tessera sociale, la numero 88235, a nome Jorge Mario Bergoglio. Il giorno prima il buon Dio aveva appena richiamato a sé un altro argentino famoso, l’ex portiere Hugo Orlando Gatti, classe 1944. Un idolo delle folle, un arquero, per dirla alla spagnola, che ha lasciato segni indelebili del suo passaggio sui campi sportivi del Sud America e non solo. Venticinque anni di carriera spesa tra Atlanta, River Plate, Gimnasia, Unión e Boca Juniors, 817 partite giocate, record assoluto, 26 rigori parati, altro primato personale.
Con il Boca Juniors, nei tredici anni di permanenza con i Genovesi (Xeneizes, in spagnolo, per il legame primordiale con Genova) dal 1976 al 1989, vince 3 campionati, 2 Libertadores e 1 Intercontinentale. Per una decina di anni difende anche la porta dell’Argentina, tutto questo fino alla vigilia del Mundial casalingo. Un ginocchio ballerino induce il Ct Luis Cesar Menotti a preferirgli il più giovane Ubaldo Fillol. Sai come sia, Gatti dichiara che non giocherà mai più con la Selecciòn. Correva l’anno 1977. Più o meno in quel periodo, da giovanissimo lettore del Guerin Sportivo ricordo le sue foto spettacolari. Hugo Gatti, faccia da indio, bruciata dal sole e una divisa che… levati!
Maglione colorato, spesso rosa e a collo alto, le maniche tirate su. Dietro e sui pantaloncini stile bermuda, il numero 1, over size. Calzettoni alla cacaiola, parastinchi manco per idea e una bandana sulla fronte, a contenere il capello fluente che gli scendeva fin quasi sulle spalle. I guanti della Heinze a proteggere mani che anche nude sapevano trattenere il pallone. Dino Zoff era il mio centro di gravità permanete, sobrietà in tutto, a partire dall’uniforme. Ma quelle immagini che venivano da altri mondi mi davano la scossa. Soprattutto quella grande L cucita sul davanti (in alcuni casi si farà stampare anche il nome). L come “loco”, pazzo. Una caratteristica, si dice, che dovrebbero avere tutti i portieri. Hugo Gatti detto “El loco”. Lui era folle, istrionico, spettacolare.
Giocava già con i piedi, spesso lasciando la porta e dilettandosi in avanti. Un’interpretazione del ruolo personale e ai limiti della ragione, non a caso. «Il calcio che si offre al pubblico è molto triste – dichiarò a El Grafico nel corso della sua carriera – e io mi sento obbligato a renderlo più allegro, facendo qualche cosa rara che possa divertire la gente». E così è stato. Molti i gesti folli, verità o leggenda, chissà. Si narra di quella volta che si mise seduto sulla traversa, gambe ciondoloni o di quando si appoggiò al palo, seduto a prendere il sole. C’è poi la storia della scopa che – si racconta – gli fu lanciata dalla curva. Lui la prese e si mise a spazzare l’area di rigore. Sprezzante del pericolo, lingua lunga, irriverente.
Il primo incontro-scontro con Diego Armando Maradona, non ancora Pibe de Oro, è storia vera. 1981, sfida tra Boca e Argentinos Juniors dove gioca Diego. I due diventeranno amicissimi. Questa la ricostruzione di Stefano Silvestri: «Hugo si sta bevendo un whisky in hotel e viene avvicinato da un giornalista, Oscar Bergesio. Questi gli chiede di Dieguito e l’altro non perde l’occasione di provocare: “Maradona è un giocatore molto buono, il migliore in questo momento. Ma sai che cosa mi preoccupa di lui? Il suo fisico. Non riuscirà a tenere a bada la sua tendenza a diventare grassottello». Diego non è presente, quando Gatti sparla di lui. Ma le parole del portiere arrivano lo stesso alle sue orecchie. Così va da Jorge Czysterpiller, amico e poi agente, e giura: «Gli faccio quattro goal. In ogni modo». A nulla servono le successive scuse di Gatti prima della partita, rinsaldate da successive dichiarazioni: «Non ho mai detto che è un grassottello, semplicemente di stare attento al suo fisico, perché non lo aiuta molto». Sta di fatto che l’Argentinos vince 5-3 alla Bombonera e quattro reti – la prima su rigore, la seconda con una punizione inumana calciata da una posizione inumana, la terza con un lob ravvicinato, la quarta con una punizione un filino più umana – le segna Maradona».
Hugo Gatti detto “El Loco”. Dietro di sé ha lasciato tracce evidenti della sua follia da simpatica canaglia. Non pochi lo hanno seguito. Alcuni con qualche licenza di troppo, altri più sul filone della goliardia e della voglia di stupire. Dai nostri amati album di figurine, ne abbiamo pescato una buona quantità, gettate sul tavolino della memoria alla rinfusa, perché il filo del ricordo possa scorrere libero e legare a piacimento visi, fatti ed emozioni.
Jerzy Dudek che danza il ballo del bruco. Bruce Grobbelar, finto ubriaco prima dei rigori contro la Roma nel 1984 ed il suo cappello a forma di papero. Jean Marie Pfaff e i suoi guanti giganteschi. Lido Vieri che “prima di pigliarlo con i piedi il pallone, mi spezzo le dita”. Enrico Albertosi e il maglione giallo canarino, con e senza baffi. Luciano Castellini che alza per il bavero l’avversario scorretto e lascia la sua squadra in otto in Coppa dei Campioni. Sebastiano Rossi che rilancia in curva un candelotto fumante senza avviso di ricevimento. Jorge Campos e la sua divisa multicolor, calzettoni compresi. Reneè Higuita e la mossa dello scorpione; poi a Italia ’90 sbraca e il vecchio Milla lo irride. Roberto Rojas che si tagliò il viso con un bisturi per tentare di vincere la partita della vita. Raffaele Di Fusco centravanti per una domenica al posto di Antonio Careca. Ramon Quiroga che spesso arrivava a centrocampo, passato alla storia quale inventore della famosa “marmelada peruana”, anno di grazia 1978. Mario Da Pozzo e quella volta che giocò scalzo sul campo ghiacciato perché i tacchetti non tenevano. Massimo Cacciatori, guardiano della Sampdoria metà anni Settanta che toglie dall’incrocio un pallone… con un colpo di testa. Il mitico tabaccaio Jan Jongbloed guantato numero otto dell’Olanda di Cruijff. Amos Adani che si mette la fascetta ai capelli perché lo ha visto fare al polacco Jan Tomaszewski, che a Monaco ’74 portava il numero 2. Il portiere della Grande Inter Giuliano Sarti e le testate in quel di Mantova ’67. Claudio Garella e le sue efficacissime parate con tutte le parti del corpo tranne le mani. Giorgio Ghezzi detto Kamikaze. Antonio Rigamonti rigorista a San Siro. Romano Cazzaniga, dodicesimo del Toro scudettato 1976 che vola giù dal terrazzo dell’albergo per tirare un gavettone. Il biondissimo Oliver Khan e il suo ghigno teutonico. Harald Schumacher detto Toni e l’ancata ad altezza uomo che abbatte il francese Batiston (il mondo si ferma, lui aspetta di rimettere in gioco il pallone, infischiandosene di tutto). Gigi Buffon per una notte di bianconero vestito, il numero uno come targa. Lamberto Boranga, il caffè bevuto durante la partita, accucciato vicino al palo e la storia con il centravanti genoano Antonio Bordon, Serie B, primi anni ’70 che merita una riga in più: «Bordon tentò in tutta la partita di farmi gol, io gli rispondevo a tono. Poi un suo tiro colpisce la traversa: io recupero il pallone con facilità irrisoria. Lui se ne accorge e ringhia. Io allora lo ribatto nuovamente sulla traversa e lo riprendo in mano dicendogli: “Così ne hai colte due!”».
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Nicola Calzaretta, classe 1969, lucano di nascita, toscano di adozione. Collabora da venti anni con il Guerin Sportivo ed ha scritto decine di libri, uno degli ultimi dedicato a Le cose perdute del calcio. Il primo del 2002, grazie al nostro direttore, racconta la storia di Luciano Bodini e di altri portieri di riserva: Secondo me, una vita in dodicesimo. Perché sebbene amasse Dino Zoff, ha avuto sempre un debole per i suoi secondi, lui che portierino nelle giovanili del Cecina lo è stato per alcune stagioni e che come regalo per gli esami di seconda elementare, chiese e ottenne una divisa da portiere: nera e con le maniche lunghe.