di Antonella Bellutti
Il Movimento Olimpico ha come scopo contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più pacifico educando la gioventù per mezzo dello sport, praticato senza discriminazioni di alcun genere e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair play.
Così recita il principio fondamentale numero 6 della Carta Olimpica, scritta nel 1894, quando il barone De Coubertin dava nuova vita ai Giochi dell’antica Grecia e l’Europa delle colonie faceva i conti con la crescita del sentimento antisemita, i cui tragici sviluppi conosciamo bene. Partendo da queste parole e raffrontandole con la realtà dei fatti è evidente tutta la distanza tra lo scopo prefissato e il risultato raggiunto, a oggi.
Centoventotto anni in cui tre edizioni dei Giochi Olimpici non sono state disputate a causa dei conflitti mondiali, tre sono state boicottate per conseguenze della guerra fredda e almeno altre due sono state compromesse da attentati terroristici. A decretare il fallimento della missione che il Movimento Olimpico si prefiggeva attraverso lo sport, sono però anche le edizioni disputate nell’indifferenza di conflitti aperti tra popoli e in territori di serie B, C, D; per non citare il turbamento generale provocato dall’ edizione di Lillehammer ’94, mentre i bosniaci disputavano i loro mini-giochi negli impianti olimpici di Sarajevo, dove il logo a cinque cerchi, esposto dieci anni prima, era ormai sepolto dalle macerie della guerra civile. Non meno scabroso è stato, nel tempo, assistere all’assegnazione dell’organizzazione dei Giochi a Paesi il cui rapporto con i diritti umani e la democrazia era e resta discutibile. O, ancora, la constatazione c…