La sbornia è durata circa tre mesi, giorno più giorno meno, ma in fondo è già qualcosa. Dalla presentazione della Rossa più granata che mai, lo scorso 17 febbraio, al Gran Premio di Miami nel fine settimana dell’8 maggio: doppietta in Bahrain, gli altri tutti dietro, dai che è l’anno buono. Invece forse, probabilmente, non lo sarà ancora, dopo tutto credere nella Ferrari in Formula 1 è professione di fede sempre per i tifosi – e sono tanti, perché come la Ferrari non ne esistono: una nazionale per gli italiani e quasi sempre la più amata anche altrove – che ogni anno sognano, seguono, gioiscono quando possono e poi si mettono l’anima in pace, perché in fondo c’è pur sempre la prossima stagione, quando la giostra riparte dopo che i trofei li hanno alzati gli altri.
È curioso per una scuderia leggendaria che ha sempre fatto parte del Circus e può fregiarsi del record sia per quanto concerne il numero dei titoli costruttori (16, con la Williams staccatissima a 9) sia quello dei piloti che i loro Mondiali li hanno vinti a bordo di una Rossa, e qui si parla di 15 titoli distribuiti su 9 driver provenienti da tre continenti diversi. Gente che ha contribuito a scrivere la storia, vale a dire Alberto Ascari, Juan Manuel Fangio, Mike Hawthorn, Phil Hill, John Surtees, Niki Lauda, Jody Scheckter, Michael Schumacher e Kimi Raikkonen. L’ultimo, il finlandese, nel 2007, quindici anni fa. Il punto è proprio qui: a prescindere dai primati e da numeri che parlano chiaro in termini di successi, ciò che caratterizza la Ferrari nell’avamposto del motorsport mondiale sono anche le lunghe cesure che sono passate da un trionfo all’altro, e che tuttavia non sono state capaci di scalfirne il mito. Quasi si trattasse dell’umanità di ciò che umano proprio non è, la meccanica, al punto che, in una t…