Prima di tutto, un disclaimer necessario: il rischio di scivolare nella retorica, quando si trattano certi argomenti con un determinato taglio, è decisamente alto. Qui decidiamo di correrlo già dal titolo e, se dovesse accadere di cadervi nelle prossime righe o negli altri articoli che compongono il corpus di questa monografia, vi chiediamo di portare pazienza. Semplicemente, può capitare che succeda quando si affronta e si intrecciano i temi dello sport con quelli della malattia, della guarigione e della redenzione che tante persone vivono sulla propria pelle quando si trovano in certe situazioni. I casi sono numerosi – alcuni esempi che ci sono particolarmente piaciuti li raccontiamo qui e qui – ed è difficile rimanervi indifferenti, proprio per una questione di empatia rispetto al percorso.
Che l’attività sportiva, banalmente, faccia bene e sia un fattore di prevenzione è un dato dimostrato da studi e ricerche. La stessa Sport e Salute, sul proprio sito, ricorda che «secondo le più recenti linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli adulti (18-64 anni) dovrebbero impegnarsi regolarmente nell’attività fisica, per una media settimanale di 150-300 minuti di attività fisica di intensità moderata o di 75-150 minuti di attività fisica di intensità vigorosa – oppure una combinazione equivalente delle due», e che «nuove evidenze scientifiche dimostrano che più si pratica attività fisica, minori saranno le limitazioni funzionali fisiche» per gli over 65. Sin qui la filosofia, alla quale poi dovrebbe seguire a livello governativo una pratica incentivante a partire dalle scuole