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«E sennò che fai, mi cacci?»

Questo articolo doveva essere fatto diversamente. Ma a The SpoRt Light non si licenzia, e allora eccolo qua

Ma ve l’abbiamo mai spiegato perché ciò a cui vi siete abbonati si chiama The SpoRt Light? Probabilmente no, considerando il modo in cui, in genere, ci approcciamo ai racconti egoriferiti, eppure in linea teorica dovrebbe essere la prima cosa che si fa per presentarsi. Lo spieghiamo un anno dopo e, forse, non averlo mai fatto prima (se non nel corso di un incontro pubblico a Milano, quando ci è stato chiesto esplicitamente) racconta molto di cosa sia questa testata dal titolo decisamente controintuitivo, anche se qualcuno lo avrà senz’altro capito.

Allora: prendiamo le mosse da spotlight, che in inglese è tanto il riflettore quanto la sua luce. To be in the spotlight, scritto unito o con il trattino, significa essere al centro dell’attenzione, della ribalta, della scena («That’s me in the corner / that’s me in the spotlight / losing my religion»), e a quello abbiamo aggiunto una “R”, con un font e un colore differente, perché è quello che mettiamo al centro: in ogni monografia, qualcosa che è sport. Che, ne converrete, come testata è tanto meravigliosa, perché è una dichiarazione di poetica, quanto totalmente priva di immediatezza. Che fenomeni, eh?

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