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«Normalizzare la disabilità». Colloquio con Giulia Terzi

Paralimpismo e scuola, pietismo e accessibilità, conoscenza e comunicazione: intervista alla nuotatrice che ha vinto 5 medaglie a Tokyo

«Se non avete un miracolo, fatelo»: è il messaggio che compare sullo stato WhatsApp di Giulia Terzi. Il suo in qualche modo l’ha fatto, ma per uno sportivo, nel suo caso una nuotatrice, che ha talento e si allena tutti i giorni, mattina e pomeriggio tra palestra e piscina, quella del miracolo è retorica, perché oltre alla capacità c’è il lavoro, dietro. Giulia Terzi ha una notevole collezione di medaglie internazionali ed è stata insignita del Collare d’oro al merito sportivo perché, tra quelle, ben cinque le ha ottenute ai Giochi di Tokyo nel 2021. Classe 1995, Giulia Terzi le medaglie le ha vinte nella sua categoria del nuoto paralimpico (S7: oro nei 100 sl e nella staffetta 4×100 sl, argento nei 400 sl e nella 4×50 sl, bronzo nei 50 farfalla), e ciò significa che ha una disabilità (una scoliosi congenita rara con coinvolgimento midollare), ma non è la sua disabilità: «La disabilità viene vista come qualcosa di oscuro, di negativo, ma è una caratteristica della persona che non dovrebbe attirare particolarmente l’attenzione. Ecco: servirebbe una normalizzazione, un salto di mentalità».

Tesserata per la Polha Varese, Terzi è stata una delle atlete più medagliate a Tokyo (dove la pesca numericamente più eclatante fu quella di Stefano Raimondi – che peraltro di Giulia è il compagno – con 7 medaglie), ha due lauree (l’ultima in giurisprudenza) e si racconta più che volentieri. Parlantina sciolta, autoironia, concetti chiari: abbiamo chiesto a lei di guidarci in un percorso che passi dal paralimpismo alla scuola, dal pietismo all’accessibilità. Appunto, alla ricerca della normalizzazione.

Cosa significa concretamente “normalizzare” la disabilità?
«Riuscire a non vederla. Si tratta di una questione di mentalità: se fosse considerata una condizione normale, verrebbe da sé ad esempio progettare luoghi accessibili. Il pensiero in quel caso andrebbe nella direzione di progettare qualcosa per tutti, non con l’obiettivo di fare qualcosa “anche” per chi ha una disabilità».

Da dove si parte?
«Dalle scuole, dove la situazione è più …

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.