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Adesso, però, guardiamole

La Rai ha infine acquistato i diritti di un Mondiale che si giocherà a orari poco televisivi. Riuscirà a interessare anche gli spettatori occasionali?

Si dice che tutto è bene quel che finisce bene, e in questo senso, dopo mesi di polemiche, quando la Rai ha annunciato di avere acquisito i diritti di trasmissione multipiattaforma del Mondiale di calcio femminile di Australia e Nuova Zelanda, ha fatto esattamente il dovere di una tv di Stato finanziata – certo non esclusivamente – dal canone: mettere a disposizione gratuitamente uno degli eventi sportivi femminili più rilevante dell’anno. Poi, però, vale anche la pena mettere da parte tutte le ipocrisie del caso: ora il Mondiale femminile va guardato, per non ridurre a finta indignazione le polemiche di cui sopra.

Il discorso è presto detto: che per una tv di Stato sia doveroso, se possibile, accaparrarsi i diritti di una manifestazione del genere, è pacifico, ma il ragionamento di qualunque azienda – ci è stato imposto a forza di capitalismo; non è la visione di The SpoRt Light, che in questo mondo tenta di sopravvivere a fatica – è che poi il prodotto acquistato deve rendere. E va da sé che un Mondiale femminile, che di suo – parola di Gianni Infantino – ha cifre di ascolto che sono il 50-60% di quello maschile, che non attira spot come quello maschile e che, per giunta, si svolge a orari televisivamente pessimi per l’Italia (con le partite di mattina), non possa contare su un contesto poi così favorevole al cospetto di un qualsiasi professionista il cui lavoro è quello di mettere assieme un palinsesto.

Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.