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Tragedie e sicurezza

Nel corso degli anni gli sport hanno fatto dei passi in avanti per rendere le competizioni più sicure. Spesso a seguito di eventi tragici

“Morire sul campo”, “lottare fino alla morte”, “giocare alla morte”. Sono tutte metafore, usate nel linguaggio sportivo, in cui viene menzionata la morte. Sì, perché morire su un campo da gioco o in pista, è una circostanza tutt’altro che rara. Per evitarla e in generale per rendere più sicura la competizione alcuni sport hanno variato le loro regole, il loro equipaggiamento e perfino il campo di gara. Un cambio che sempre o quasi è stata la conseguenza di un evento tragico, capace di rendere l’intervento inevitabile, anche su spinta dell’opinione pubblica.

Motorsport is dangerous
Il motorsport è pericoloso. Così è scritto sui biglietti d’ingresso alle competizioni motoristiche britanniche. Prima lo era ancora di più. Tralasciando le epoche dei pionieri, a partire dagli anni Cinquanta con la nascita del Mondiale di F1 e del Motomondiale le federazioni internazionali e gli organizzatori delle competizioni hanno cambiato tutto o quasi. I primi grandi cambiamenti sono quelli riguardo ai circuiti. Nel corso dei decenni sono spariti dal calendario tracciati affascinanti ma pericolosi, uno su tutti quello dell’Isola di Man, su cui Giacomo Agostini si rifiutò di continuare a correre dopo la morte dell’amico Gilberto Parlotti nel 1972, molte piste tra cui alcune storiche come Monza e Spa sono state modificate per renderle più sicure, con l’allargamento delle vie di fughe, l’eliminazione di elementi come muretti, alberi, mentre i nuovi autodromi sono stati costruiti secondo rigidi protocolli di sicurezza. Un altro gr…

Roberto Brambilla
È nato a Sesto San Giovanni, quando era ancora (per poco) la Stalingrado d'Italia. Ha scritto di sport e temi sociali per il web e per la carta. Ama la Storia e le storie. Al mattino insegna ai ragazzi, al pomeriggio sogna Berlino (Est).