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La retorica contro la vittoria

Il fasullo, ipotetico e ipocrita disinteresse per la vittoria non è altro che un alibi nel calcio professionistico e addirittura un pretesto nel calcio giovanile

di Guglielmo De Feis

La frase «L’importante non è vincere, ma partecipare» del barone Pierre de Coubertin – il fondatore dei Giochi Olimpici moderni – rappresenta l’ideale della partecipazione allo sport con uno spirito positivo, più che con uno competitivo. La frase dell’allenatore di football americano Vince Lombardi «Vincere non è importante, ma è l‘unica cosa che conta» gode di una straordinaria, e forse immeritata, fama in Italia per essere stata rilanciata dallo storico presidente e bandiera della JuventusGiampiero Boniperti. In questo caso lo spirito competitivo sembrerebbe prevaricare ampiamente ogni possibile aspetto ludico o puramente gioioso dello sport.

Entrambe le frasi si prestano a essere strumentalizzate fino a travisarne il significato. La partecipazione fine a sé stessa – senza impegno, disciplina o determinazione – non è certamente l’ideale di sport di de Coubertin, così come la vittoria a qualunque costo – anche a scapito del rispetto delle regole e del fairplay – non deve necessariamente essere l’ideale sportivo di Lombardi e Boniperti.

Una posizione mediana e di equilibrio tra le due frasi l’ha offerta qualche anno fa, José Mourinho quando ha sostenuto con molta naturalezza che, nello sport, tutti vogliono vincere, ma la differenza la fa la predisposizione al sacrificio per poterci riuscire.

Secondo Mourinho, nello sport solo in teoria nessuno vuole perdere – e anzi tutti vorrebbero essere dei vincitori – ma, in pratica, pochissimi si sacrificano in allenamento e competono in gara, con la dedizione richiesta per la vittoria.

La definizione filosofica di agonistico compare nel…