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Gli allenatori “sindaci”

Quelli che non affascinano critica e pubblico con proclami e stili di gioco eclatanti, ma che – con metodi classici e tradizionali – la loro squadra la sanno far funzionare sempre

di Guglielmo De Feis

Secondo il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre*, l’Illuminismo ha compiuto un errore fatale: ha distrutto le fondamenta teleologiche** (finalizzate allo scopo) e metafisiche (oltre la realtà) della morale tradizionale, senza riuscire – nello stesso tempo – a fornire una giustificazione razionale della stessa. 

La mancata giustificazione razionale della morale ha condotto all’emotivismo, una teoria secondo la quale i giudizi morali non sono affermazioni di fatti o verità, ma solo espressioni di preferenze soggettive strettamente collegate ai sentimenti. Questo ha reso la moralità moderna completamente priva di basi oggettive e, di fatto, ha trasformato il discorso morale in una forma di manipolazione emotiva e di conflitto di volontà senza alcuna risoluzione razionale.

L’illuminismo calcistico – quello che, da qualche anno a questa parte, vorrebbe una razionalizzazione completa del calcio attraverso l’interpretazione dei dati – sta compiendo lo stesso errore. Con la banalizzazione della ricerca della vittoria, sta distruggendo le fondamenta teleologiche della morale calcistica. 

La separazione di fatti (vittorie) e valori (giocare bene) – quella che si è consolidata negli ultimi venti anni nel calcio italiano – sta privando la morale della sua capacità di fondarsi su una realtà oggettiva e, appunto, teleologica.

L’illustrazione metaforica di MacIntyre riguardante due equipaggi di pescatori si attaglia splendidamente alla realtà calcistica.

Dei due equipaggi – ma potrebbero essere anche due squadre di calcio – uno è organizzato esclusivamente come mezzo tecnico ed economico per massimizzare il profitto, l’altro è, invece, fondato su una cultura di eccellenza, carattere, coraggio e legami comunitari. Mentre il primo gruppo persegue il guadagno a ogni costo, il secondo vive una dimensione di responsabilità condivisa, dove il rischio e la solidarietà sono centrali, e il valore va oltre il mero denaro.

L’inganno degli illuministi del calcio consiste proprio nel fingere che il mero profitto dell’esempio sia il risultato della partita, potendosi a quel punto proporre, tra le due, come la squadra virtuosa che condivide cultura e valori addirittura trascendenti l’importanza della vittoria.

Scomparsa, per così dire, la base teleologica della morale nel calcio – ovvero la ricerca della vittoria – è possibile proporre altri valori, basati su preferenze soggettive a cui dare significati razionali. 

Il possesso palla, il controllo del pallone e il dominio dell’avversario, anche se proposti come nuovi principi etici, non sono altro che il mero profitto dell’esempio di MacIntyre, quello per il quale gli equipaggi (o le squadre) svolgono attività che diventano, a quel punto, esclusivamente mezzi per raggiungere fini esterni e privi di un valore intrinseco.

La squadra che gioca come una forma di arte o di tradizione (quella calcistica italiana) e che dà valore all’eccellenza tecnica, alla cooperazione e al mantenimento di una sua cultura condivisa non cerca il “profitto” della vittoria, ma persegue il “valore morale” della stessa.

L’equiparazione tra l’equipaggio di pescatori dell’esempio di MacIntyre e la squadra di calcio, serve a illustrare la sua tesi secondo cui la vita virtuosa è inseparabile dalla partecipazione a pratiche sociali che abbiano un proprio insieme di beni interni (le capacità tecniche della tradizione) e un sistema di norme e valori condivisi. Quando tali pratiche e valori si perdono o si frammentano, si verifica una crisi morale e una perdita di significato nelle pratiche stesse. E questo avviene anche nelle squadre di calcio, a prescindere dalla loro tattica di gioco.

La squadra di calcio, vista esclusivamente da una prospettiva tecnico-tattica (quella dell’analista calcistico, che sia il match analyst o l’opinionista televisivo), è considerata un insieme che produce – giocando – semplici dati da analizzare. Se, però, allarghiamo la prospettiva dal campo allo spogliatoio, diviene un gruppo sociale con un proprio codice, con i suoi valori, specifiche norme interne e con la necessità di un leader della comunità e non solo di un ottimo coreografo di schemi dentro il campo. Ecco allora che è possibile equipararla anche a gruppi sociali ben più grandi dell’equipaggio di un peschereccio.

Negli ultimi tempi, le elezioni in Europa vedono contrapposti due differenti profili politici: da un lato un moderato (normalmente un ex sindaco di una grande città) che propone idee sensate e fin troppo semplici, dall’altro un populista (un politico di carriera) con posizioni certamente più radicali e complesse.

I sindaci rappresentano una forza moderata, contrapposta a quella dirompente di molti leader nazionalisti, le cui campagne elettorali spesso infiammano le folle. 

Il successo dei sindaci deriva, invece, dalla loro capacità di mantenere le promesse concrete, gestendo efficacemente servizi essenziali come la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico o la manutenzione delle strade. A differenza dei politici populisti che fanno promesse generiche e ideologiche, i sindaci devono rispondere rapidamente ai bisogni quotidiani dei cittadini. Questo li rende più affidabili e apprezzati una volta che ottengano risultati concreti e valutabili oggettivamente.

Nel calcio italiano sembra esserci stata negli ultimi mesi la riscossa degli allenatori “sindaci”: quelli che non affascinano critica e pubblico con proclami e stili di gioco eclatanti, ma che – con metodi classici e tradizionali – la loro squadra la sanno far funzionare sempre.

Ancelotti allenatore del Brasile, Allegri allenatore del Milan, Juric allenatore dell’Atalanta sono tre esempi di scelte di altrettanti leader considerati affidabili, di buon senso e coerenti nell’equilibrio tra parole e fatti.

Il successo dell’allenatore del Pescara, Baldini, ai playoff di Lega Pro – con metodi tradizionali e “metafisici”, come la conta per scegliere i rigoristi – la proposta a Claudio Ranieri (poi declinata) di allenare la Nazionale italiana sono un’ulteriore conferma di questa tendenza alla valorizzazione di una cultura classica e tradizionale della leadership calcistica italiana.

Quella che per troppo tempo è stata colpevolmente rinnegata.


*MacIntyre, Alasdair Chalmers (1929-2022). Filosofo scozzese, nato a Glasgow e formatosi presso le università di Londra e Manchester, dove si laureò in filosofia classica.

**Il termine “teleologico” deriva dal greco antico ed è composto da due elementi:

τέλος (télos) = “fine”, “scopo”, “meta”, “completamento”, “perfezione”;

λόγος (lógos) = “discorso”, “ragione”, “studio”, “dottrina”.

Il sostantivo “teleologia” fu coniato nel 1728 dal filosofo tedesco Christian Wolff, che combinò questi due elementi greci per indicare la dottrina o lo studio dei fini e degli scopi. L’aggettivo “teleologico” deriva di conseguenza da “teleologia” con l’aggiunta del suffisso “-ico”.


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