Monografia

Comunicazione sportiva militare

I media e la propaganda del Minculpop degli uffici stampa: fotografia opaca dell'ecosistema del giornalismo sportivo

Da un lato comunicati, conferenze stampa e presentazioni preconfezionate, sempre più raramente interviste, ma solo con i media più rilevanti – amen – e comunque con un addetto stampa, magari per lignaggio il responsabile della comunicazione, a fare da secondino, hai visto mai che l’intervistatore non faccia una domanda appena lontanamente percepita come scomoda, o che addirittura l’intervistato dica qualcosa di vagamente intelligente o notiziabile. Dall’altro la ricerca di visibilità di chi, soverchiato dallo sport già visibile, magari ha anche tanto da raccontare, ma non trova interesse, salvo poi trovarlo e lamentarsi perché, ohibò, non tutto poi appare perfetto e meraviglioso perché, a volte capita, i giornalisti fanno il loro mestiere. Quello di informare, spiegare, analizzare, criticare. Ovvero l’esatto opposto di ciò di cui un ufficio stampa, nello sport di oggi dove la comunicazione si disperde in mille rivoli, è alla ricerca. 

Appare addirittura banale sostenere che gli uffici stampa e comunicazione, oggi nello sport, sono sostanzialmente uffici propaganda. Non solo quelli sportivi, perché il discorso si può allargare anche a quelli pubblici: lungi dal veicolare informazioni, se non nei casi di specifico interesse propagandistico appunto, l’obiettivo è quello di dividere, troncare, sopire e omettere (non mentire: omettere), per poi comunicare ciò che può mettere il brand – parliamo di questo: a livello professionistico, non solo i club ma anche gli atleti sono aziende vere e proprie – in buona luce. Il calcio, e non solo quello d’élite, in questo senso è l’emblema di una situazione che oggi non porta profitto a nessuno, ma aumenta il senso di complessiva inutilità dell’informazione e della comunicazione che riguarda il pallone. Alessandro Barbano, attualmente condirettore del Corriere dello Sport, lo scorso 6 giugno scrisse un editoriale, intitolato

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Lorenzo Longhi
Emiliano, ha esordito con il primo quotidiano italiano esclusivamente web nel 2001 e, da freelance, ha vestito (e smesso) casacche anche prestigiose. Di milioni di righe che ha scritto a tamburo battente gran parte è irrilevante. Il discorso cambia quando ha potuto concedersi spazi di analisi.