Tackle

La distrazione delle statistiche

La match analysis – strumento indiscutibilmente utile – ha ingenerato l’idea fallace che l’ambiente selvaggio di un campo da calcio potesse essere equiparato a quello sterile di un laboratorio

di Guglielmo De Feis

In una recente intervista, l’allenatore della Roma José Mourinho ha raccontato quanto il calcio sia cambiato durante la sua carriera. Nei poco più di venti anni intercorsi tra il suo periodo nello staff del Barcellona a quello di allenatore della Roma, la raccolta dei dati – con successiva analisi – è passata da una crocetta su un foglio di carta per indicare il passaggio completato, ai famosi Big Data computerizzati del giorno d’oggi, coi quali si può sapere tutto quello che avviene su un campo da calcio.

A questo punto, però, diventa fondamentale comprendere e definire il significato di tutto questo “sapere calcistico”: permette di prevedere i miglioramenti futuri del gioco di una squadra o – più semplicemente – descrive nei dettagli ciò che è avvenuto nella precedente partita?

Abituati come eravamo, ormai da diversi decenni, a razionalizzare a posteriori le partite di calcio – conoscendone risultato e svolgimento e solo sulla base delle percezioni ricavate dalla loro visione – era forse inevitabile che le possibilità offerteci da questa spaventosa mole di dati ci conducessero verso l’utopia di creare una maniera di giocare “scientificamente vincente”.

La match analysis – strumento indiscutibilmente utile – ha ingenerato l’idea fallace che l’ambiente selvaggio di un campo da calcio potesse essere equiparato a quello sterile di un laboratorio. Da questa erronea premessa è discesa la rovinosa conseguenza di ritenere che l’organizzazione schematica del proprio gioco potesse det…