Monografia

Doing a Bradbury

Last man standing, l’ultimo uomo a restare in piedi, è diventato l’esempio dei trionfi sportivi inaspettati, sino a entrare in un dizionario. Ma la sua storia agonistica e umana non è banale

Nella versione online di un noto quotidiano italiano, in uno degli anniversari (il quindicesimo) dell’impresa sportiva che lo ha effettivamente reso un mito popolare, Steven Bradbury, viene definito «il pattinatore scarso diventato leggenda». Ora, le colpe dei titolisti non devono ricadere su chi gli articoli li scrive, così come le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, però, che diamine: va bene che, in Italia, la storia di Bradbury è diventata di culto non già durante la diretta della finale dei 1000 metri di short track di Salt Lake 2002, ma grazie a un brillante taglia e cuci della Gialappa’s Band, e va bene pure che doing a Bradbury in Australia è diventato un modo di dire, però colui che su quel sito viene definito il pattinatore scarso aveva già in bacheca tre medaglie mondiali, tra cui un oro, e anche un bronzo olimpico, ottenuto otto anni prima del giorno di massima gloria. Tutte in un altra specialità (i 5mila metri e, per quanto riguarda il bronzo olimpico, con la staffetta australiana sui 5mila a Lillehammer) e diversi anni prima, ma le medaglie non sono dettagli.

Poi, certo, se oggi il 50enne australiano Steven Bradbury, nato nel tropicale Queensland e già per questo vita inattesa in uno sport del ghiaccio come lo short track, ha una notorietà internazionale immortale è per ciò che accadde ai Giochi invernali di Salt Lake City nel febbraio 2002. Un’avventura sportiva che, da allora, è il paradigma della sorpresa, l’apoteosi dell’underdog, il paradiso dello sfavorito. Come andò la finale dei mille metri, lo potete vedere qui sotto: