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Paese di santi, poeti e… sedentari

Secondo l’ultimo censimento dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’Italia si posiziona come il primo Paese OCSE per sedentarietà tra i bambini

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di Antonella Bellutti

Ci sono dati che sono come bombe: dovrebbero far saltare vertici, palazzi, poltrone o perlomeno indurre dimissioni. Invece, passano come niente fosse. Sfilano con disinvoltura probabilmente tra le maglie larghe di quel comportamento che la psicologia sociale chiama “dispersione della responsabilità”. Un fenomeno che ci spiega come la probabilità d’intervento diminuisca all’aumentare delle persone che assistono a un’emergenza, a un fatto in cui è necessario apportare aiuto o assistenza: il cosiddetto effetto spettatore (bystander effect). È forse questa l’unica chiave di lettura dell’immobili strategie di governance sportiva nel nostro Paese. Molti sono i soggetti in campo che però di fronte ai problemi passano da osservatori interessati: ministero dello sport e il Dipartimento per lo Sport del governo, la società Sport e Salute, il Comitato olimpico, le federazioni. Troppi? Evidentemente sì per riuscire a produrre interventi validi in mancanza di una stabile definizione di ruoli e piani di lavoro sinergici. Una governance complessa che, in una lettura benevola, comporta immobilismo perché ognuno è convinto che ad agire debba essere l’altro. E in una lettura maliziosa comporta immobilismo perché tanto da nessuna parte è scritto quali sono gli obiettivi specifici di ognuno. E così, stando a guardare, il tempo passa e i problemi restano, anzi si siedono.

Secondo l’ultimo censimento dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l’Italia si posiziona come il primo Paese OCSE per sedentarietà tra i bambini. Il dato agghiacciante dice che il 94,5% di giovani tra gli 11 e 15 anni, non raggiunge il livello minimo di attività consigliato dall’OMS. Nessuno si prende la colpa di questo risultato terribile e anche il COVID è passato e la scusa della clausura non regge più. Nessuno tra i soggetti in campo si assume la responsabilità! Sembra semplicemente ci sia una comune presa d’atto da cui partire per immaginare un piano strategico di investimenti che, neanche a dirlo, hanno il focus sulla costruzione di impianti. Le strutture dove praticare sono importanti ma urgente è iniziare a educare al movimento e allo sport. È fondamentale spingere il coinvolgimento di laureati in scienze motorie in tutti i cinque anni delle scuole elementari (iniziativa già arenatasi alle classi quarte e quinte) e creare un’importante offerta di sport extrascolastico interagendo con le società sportive del territorio. Non si possono più sentire i discorsi sui milioni di euro che verrebbero risparmiati, in termini di costi sanitari, contrastando la sedentarietà. L’attività motoria è un bisogno essenziale, oltre che un diritto, ora anche costituzionale: la sua dignità è consacrata lì, non serve inseguirla con indicatori indiretti. Se la misuriamo attraverso la crescita del PIL che potrebbe indurre (che poi come diceva Bob Kennedy il PIL misura tutto eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta) o sul risparmio di spese in altri settori, significa che siamo ancora lontani dalla sensibilità e dalla lungimiranza necessari per comprendere il potenziale pedagogico della pratica sportiva.

La pedagogia è una scienza che non gode di grande fortuna nel nostro Paese: comporta investimenti a lungo termine che sono in contrasto con le logiche politiche, anche di politica sportiva, concentrate piuttosto su risultati immediati e misurabili. Implica anche un approccio olistico e interdisciplinare difficile da integrare in una società basata su compartimenti e comportamenti stagni. Pensare che a breve ci possa essere un ribaltamento di questo stallo è una grande utopia. Lasciare però che il dato di inattività dei bambini italiani scivoli nell’indifferenza di tutti, è più grave del dato stesso e deve chiamarci a reagire. Se non esiste un’offerta, se non c’è disponibilità economica, se le istituzioni sportive e scolastiche latitano, cerchiamo autonomamente di incrementare la nostra e l’altrui possibilità di movimento: non dobbiamo togliere ai giovani una parte fondamentale delle opportunità e degli stimoli per la loro crescita. Lo possono fare i genitori coi figli, gli zii coi nipoti, i fratelli grandi con i fratelli piccoli, gli insegnanti di scuola materna, le parrocchie: cerchiamo tutti di muoverci di più aiutando i più piccoli a farlo anche in modalità non formale, non sportiva, attraverso l’ottimizzazione degli spostamenti, l’imparare a fare le scale, organizzando camminate nel parco nel weekend o gite nella natura, creando occasioni di gioco tra amici, ballando…

L’inattività produce problemi a tutte le età ma privare i più giovani dei benefici che l’attività fisica dà vuol dire compromettere seriamente le possibilità di una vita sana, considerando per salute l’ultima definizione dell’OMS ovvero non la semplice assenza di malattia ma la piena realizzazione sul piano fisico, sociale, psichico. Se le ricadute fisiche dell’attività motoria sono più o meno chiare a tutti, forse lo sono meno le ricadute psicologiche e sociali. Molti studi hanno messo in relazione l’attività fisica e sportiva regolare con la definizione di un’identità personale positiva e di un maggior benessere personale nei preadolescenti (Donaldson e Ronan, 2006), con un generale miglioramento della stima di sé (Bowker, 2006; Findlay e Coplan, 2008) con l’incremento delle opportunità di coltivare amicizie socializzando coi pari (Lobo e Winsler, 2006; Maturo e Cunningham, 2013) e di migliorare la percezione delle proprie abilità personali e fisiche (Zarrett et al., 2009). Inoltre, l’attività fisica offre opportunità di vivere esperienze divertenti, che migliorano gli stati emozionali positivi, oltre che l’autoefficacia e il benessere (Eime et al., 2013). Un recente filone di ricerca ha messo in evidenza come l’attività fisica regolare migliori le funzioni cognitive di alto livello (abilità di pianificazione, auto-regolazione, inibizione e flessibilità cognitiva) che permettono cioè di governare le funzioni cognitive di base come memoria e attenzione. Le funzioni esecutive si sviluppano dall’infanzia lungo tutta l’adolescenza e fino all’età adulta, ma gli anni più significativi per il loro sviluppo sono quelli della scuola primaria (Zelazo et al., 2004). Altre ricerche, come quella di Smith e colleghi (2011) hanno dimostrato, di contro, come bambini e adolescenti obesi mostrassero difficoltà cognitive, in particolare a carico delle funzioni esecutive. E la lista sarebbe ancora lunga…

In attesa che la governance sportiva italiana impari a giocare di squadra, appelliamoci a ogni risorsa individuale, famigliare, sociale, casuale per non togliere ai bambini le basi su cui possano costruire il proprio futuro.


P.S.
Ringrazio per l’ampia bibliografia, la professoressa Francesca Vitali, docente al dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona.


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