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Parlare di calcio in epoca di guerra

Oggi si può dire che gli italiani discutono dell’invasione dell’Ucraina come se fosse una partita di Champions League, ma attribuiscono significati eroici più profondi alla resistenza contro un avversario forte su un campo di calcio che a quella nei confronti di un invasore dei propri confini nazionali

di Guglielmo De Feis

Parafrasando Winston Churchill – che disse: «gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre» – oggi, si può dire che gli italiani discutono dell’invasione dell’Ucraina come se fosse una partita di Champions League, ma attribuiscono significati eroici più profondi alla resistenza contro un avversario forte su un campo di calcio, che a quella nei confronti di un invasore dei propri confini nazionali.

L’invito – rivolto al popolo ucraino – alla resa perché «intanto non può vincere» non troverebbe nessun riscontro possibile in un analogo invito di rinuncia alla combattività rivolto alla squadra destinata alla sconfitta perché inferiore sulla carta.

Al contrario, il mito di Davide contro Golia sembra essere – a questo punto, forse, solo a parole – uno degli elementi più intriganti del calcio moderno, la cui bellezza sarebbe proprio in questa sfida impossibile del più debole al più forte e la sua unicità nel pareggio per zero a zero, previsto dal regolamento come eventualità possibile e valida.

Perfino il realismo con il quale si giustificano le ragioni della Russia – o quantomeno se ne attenuano le colpe – non trova alcun riscontro nell’epica che, culturalmente e retoricamente, noi italiani utilizziamo per riferirci alle questioni della nostra squadra del cuore.

Il realismo di alcuni allenatori viene considerato sempre e solo squallido cinismo anche quando porta risultat…